Collegiata dei Santi Martino e Venerio

La Chiesa Parrocchiale è ubicata nel cuore del centro storico Sanmartinese. L’edificio prospetta su di una vasta piazza unitamente alla Rocca Estense e alla vecchia casa Pretoria, già sede della Comunità. Nel 1144-1146 la chiesa di San Martino appare nominata nelle Bolle pontificie col titolo di Cappella nel plebanato di Prato. Verso la fine del 1500 il marchese Filippo I d’Este, uno dei più illustri feudatari di San Martino, ottiene da papa Gregorio XIV la possibilità di costruire una Collegiata nella sua minuscola capitale.

Nel 1599, in seguito alla demolizione dell’antica chiesa, si procede al distacco dell’immagine della Madonna del Pilastro, inserita nel quadro della “Santissima Trinità” attribuito a Domenico Tintoretto, figlio del grande Jacopo. L’immagine della Madonna è poi trasportata nel nuovo edificio come pure il capitello trecentesco con stemma dei Roberti da Tripoli, primi feudatari del paese, ora utilizzato come base per il fonte battesimale. La chiesa è intitolata a San Martino Vescovo di Tours e a San Venerio Martire le cui reliquie sono conservate in un artistico reliquiario donato nel settecento da Margherita di Savoia Este, Marchesa di San Martino.

Nel 1600 si procede all’edificazione della nuova chiesa circa nel medesimo luogo dove sorgeva la vecchia risalente al mille, per volontà e a spese dei feudatari del luogo, i Marchesi d’Este San Martino. L’impianto è a croce greca con quattro cappelle angolari che trasformano la pianta in un quadrato. Il presbiterio è aggiunto alla pianta quadrata come pure la cappella estense, ora del Santissimo Sacramento, e la cappella del Cristo Morto. La Chiesa è costruita a foggia ridotta rispetto a quella del Tempio della Beata Vergine della Ghiara in Reggio Emilia. L’interno è a tre navate con dieci altari e cupola.ù

Nel 1700 si ricava l’ultima cappella dalla primitiva sagrestia. Sull’incrocio dei bracci si innalza una cupola con lanterna così come altre quattro piccole cupole sovrastano le cappelle laterali. La Chiesa di San Martino in Rio subisce restauri nel 1720, 1797, 1856, 1892, 1934. Nella seconda metà del 1700 inizia la costruzione della facciata con impianto neoclassico. Nel 1800 termina la costruzione di una delle due torri gemelle previste ai lati del presbiterio. Nella metà del 1800 ha termine la costruzione della facciata nel frattempo trasformata.
L’interno è interessante sia dal punto di vista architettonico che artistico. Numerose sono le opere che vi si conservano come pure gli arredi liturgici. Oltre alle pale d’altare sono degni di nota i paliotti in scagliola carpigiana e i tessuti conservati nella sagrestia. L’opera di San Martino che dona il mantello al povero è databile verso la fine del secolo XVI e presenta ben evidenti caratteri del manierismo emiliano realizzati da un pittore locale. La tela di San Carlo Borromeo in preghiera e la Vergine col Bambino in gloria rappresenta un tipico esempio di pittura controriformista dei primi anni del secolo XVII, probabilmente di scuola ferrarese. La tela della Madonna col Bambino in trono, San Giuseppe, San Pietro e San Francesco è opera settecentesca di un pittore provinciale. La tela della Annunciazione è un buon lavoro con stilemi tardo cinquecenteschi bolognesi. La Trinità, con angeli e i Santi Francesco e Giovanni Battista porta inserito In basso un riquadro con un affresco raffigurante la Madonna col Bambino. Il dipinto è emblematico per il significato tutto controriformista del recupero delle antiche immagini sacre, specie se mariane.

L’antico affresco, di esecuzione quattrocentesca goticizzante, è inserito in una vasta tela che serve da gloria e da fondale. L’impasto coloristico, l’ardito scorcio degli angeli e della gloria con la Trinità, il denso chiaroscuro delle figure in primo piano, denotano l’esecuzione del quadro dovuta al veneziano Domenico Tintoretto.
La tela dei Santi Antonio da Padova e Francesco in adorazione dell’Immagine della Vergine presenta gli stessi connotati iconologici del quadro del Tintoretto. In questo caso il pittore, un ignoto autore locale o reggiano seicentesco, ha inserito la raffigurazione nella realistica descrizione di un interno chiesastico minutamente descritto negli arredi dell’altare con un effetto di “trompe l’oeil”.